Il cotechino è un insaccato di budello di maiale il cui interno è costituito da un impasto di carne magra di suino, lardo, cotenna, spezie ed erbe aromatiche. E' insieme alle lenticchie un tipico piatto

beneaugurale.  



 


IL COTECHINO: il più antico tra tutti i salumi

Della salumeria di solito ci interessa la geografia (quanto è lontana quella più vicina). Ma anche la storia della salumeria è importante. E, per noi italiani, fonte di orgoglio. L’origine della salumeria è italica. Lasciamo pure ai cinesi la bussola, e agli americani il telefono: ma i salumi li abbiamo inventati noi. Con l’aiuto del clima asciutto della nostra penisola, e della grande disponibilità di sale marino e di affioramento. Elementi che hanno favorito prima l’essiccamento della carne e poi la sua salatura, così da consentirne una buona e lunga conservazione. La prova di questo antichissimo legame con la carne – e quindi con gli animali in grado di darcela – sta nello stesso nome “Italia”: il termine “Ouitoulia”, terra dei vitelli, proviene dall’etrusco “italos”, toro. Senza di lui, di vitelli non se ne parlerebbe nemmeno. Toro, mucca, vitelli, latte: il toponimo “Roma” sembra derivare da “rumia”, mammella. Nell’antica Roma, Rumina era la Dea dei poppanti, e veniva onorata con offerte di latte.

Cerchiamo, per cominciare, di capire di cosa stiamo parlando. “Salume” è un termine generico che indica diversi prodotti di origine animale ottenuti per salatura e stagionatura. I salumi si dividono in due gruppi principali: quelli ricavati dalle parti interne di un animale (prosciutti, coppe, spalle, pancette, culatelli), e gli insaccati (cotechini, zamponi, mortadelle, salsicce), che si consumano crudi o cotti. Il più antico insaccato d’Italia è il salame di Sant’Angelo in Brolo, in Sicilia. Più a nord ebbe invece notevole fama la “salciza all’uso di Modena”, di cui Vincenzo Tanara ci propone, già nel 1658, una ricetta molto dettagliata: c’erano dentro formaggio e zafferano, da cui la definizione di “salsiccia gialla”.

Col tempo tutto cambia. Anche il maiale. Fino alla fine dell’800 in Italia c’erano soltanto i maiali mediterranei; quelli padani avevano una pelle scura ed ispida, e non erano buoni da mangiare. Non che per questo salvassero la pelle: anzi era proprio quella a condannarli, visto che li ammazzavano per conciarla.

Dopo l’unità d’Italia, con l’aumento degli scambi commerciali cominciarono ad arrivare in Italia dei maiali inglesi, di pelle chiara come i loro allevatori. Erano i famosi “Large White”, detti “maiali da grasso”, perché ne avevano davvero tanto. La loro carne era buonissima. I maiali finirono così fra due cuochi: il primo era Francesco Leopardi, cuoco di Maria Luigia d’Austria, granduchessa di Parma, e il secondo Pellegrino Artusi, singolare figura di commerciante, banchiere, scrittore e buongustaio. Nato a Forlimpopoli, nei suoi 91 anni Artusi di cose ne fece parecchie. Quella che gli diede fama imperitura è  “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, una raccolta di  ben 790 ricette, che tra il 1891 e il 1910 conobbe ben tredici edizioni. 

Il ricettario dell’Artusi, innovativo per l’epoca, era preceduto (e lo è ancora) da alcune “Norme d’igiene”, e da una tavola sul potere nutritivo delle carni. Non mancava, in appendice, una “Cucina per gli stomachi deboli”. Artusi ha contribuito ad unire la gastronomia emiliano-romagnola con quella toscana, non disdegnando gli apporti di altre regioni italiane. L’arte della salumeria è oggi molto radicata nel territorio padano, la cui economia al maiale e ai suoi derivati deve molto.  I moderni salumieri sono molto attenti agli aspetti dietologici e nutrizionale dei salumi: i maiali sono allevati in modo che il grasso d’infiltrazione, che un tempo era del 15-20%, non superi, nei cosiddetti “magroni”, il 2-4%.

La carne di maiale magro è poi eccellente fonte di proteine e di vitamine B1 e B2. Quest’attenzione alla materia prima (il porco da vivo) continua anche dopo: nella preparazione dei salumi si impiega ormai una piccola quantità di sale, per evitare al consumatore problemi di  ritenzione idrica e quindi di ipertensione arteriosa.

Quanto poi al rischio di ingerire gli agenti patogeni della Cisticercosi e della Trichinosi, grazie ai maggiori controlli sanitari, previsti dalla legge, lo si può ritenere oggi  praticamente inesistente.

Non è un caso che ben 26 prodotti della salumeria italiana hanno ottenuto i riconoscimenti DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (:Indicazione Geografica Protetta).

Ad ogni buon conto, il consumatore tenga sempre presente che, se a tavola l’etichetta è importante, al supermercato lo è ancora di più. Ormai sopra c’è scritto quasi tutto: il tipo di salume, la sua provenienza, e gli ingredienti. Compresi i conservanti. Attenzione quando tra gli additivi presenti vengono indicati il nitrito e il nitrato di sodio: sono assolutamente legali (servono a mantenere il colore rosso vivo della carne, e soprattutto inibiscono la crescita del pericolosissimo Clostridium Botulinum) ma oggi sono nel mirino  perché si teme possano produrre nitrosammine, sostanze cancerogene. 

 
 

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